Monforte San Giorgio, domani sera il “Premio San Giorgio” della “Cyber Community”: sarà consegnato al regista Eugenio Manghi. Premio speciale anche ai “Malanova” e a Salvatore Siragusa

Il documentarista, fotografo, scrittore e regista Eugenio Manghi riceverà domani sera il “Premio San Giorgio” della “Cyber Community” locale per aver realizzato “La buonavita”, filmato dedicato all’area tirrenica e nebroidea messinese e trasmesso da Geo, su Raitre venerdì 7 maggio scorso. Il premio è assegnato a monfortesi e non che contribuiscono alla valorizzazione culturale e promozionale del piccolo centro collinare dei Peloritani. Insieme a Manghi un premio speciale sarà consegnato anche al gruppo musicale etno folk “Malanova” per la musica, la cultura e tradizione tutta “Made in Sicily” e al filmmaker Salvatore Siragusa. Riconoscimenti anche per i monfortesi che hanno brillato durante l’anno.

Ecco il servizio dedicato da VetrinaTv alla messa in onda del documentario nel maggio scorso:

“La buonavita” di Eugenio Manghi tra Monforte San Giorgio e Gioiosa Marea viene raccontata da Geo, su Raitre venerdì 7 maggio dalle 17,45. Sulle note del gruppo etno folk Malanova. “Questo nuovo documentario ”LA BUONAVITA” – racconta il regista Eugenio Manghi nella scheda del programma – nasce dal mio innamoramento per la musica di un gruppo molto particolare: ”Malanova”. Un ensemble siciliano costituito da una decina di polistrumentisti capaci di virtuosismi strumentali e vocali notevoli. Ma, ovviamente, non è tutto qui. La loro è un’attività ispirante. Con la musica e il coinvolgimento dei giovani, delle popolazioni locali, tengono alta in Sicilia la bandiera della cultura; non solo quella che passa attraverso la celebrazione della tradizione e della musica popolare, bensì con l’intento – quasi missionario – di affrancare le giovani generazioni dal cappio sordido di chi le vorrebbe ignoranti (del presente e del passato), tristi e possibilmente criminali. La loro musica trasmette la voglia di vivere, di vivere bene; è una gioia, una festa, un mix di Soul e di Jazz, di note e armonie arabeggianti, di cori africani e tarantelle, con una ritmica scandita dallo strumento (apparentemente) più semplice della nostra tradizione: il tamburello. Di sicuro, uno strumento tra i più evocativi del colore musicale del nostro ”Meridione”: quel meridione che siamo tutti disposti a celebrare a tavola, a teatro, al cinema, in spiaggia d’estate, nella sua straordinaria bellezza naturale e ambientale, ma che pochi di noi si prendono la briga di approfondire nelle sue complesse contraddizioni. Sulle note dei Malanova, questo documentario è andato a cercare le vite di tante persone. Persone che, demolendo nei fatti l’ ”eterno pregiudizio”, hanno lavorato sempre onestamente in patria o come emigrati. Ecco allora l’ispirazione del titolo: La Buonavita; una parola sola; una parola capace di restituire in un lampo lo spirito profondo della Sicilia. Lo spirito che per ben due volte, tra i documentari realizzati per la trasmissione GEO di Rai 3, ho incontrato sfiorando le pendici dell’Etna; marciando poi verso ovest nel Messinese, verso Cattafi, Castroreale, Barcellona Pozzo di Gotto, Montalbano Elicona, Gioiosa Marea; e poi su, nei Nebrodi, a Galati Mamertino. Poi di nuovo giù, verso il mare infinito… Le persone semplici: un anziano impagliatore di sedie, nel giorno del suo compleanno; un riparatore di antiche radio in pensione; l’anziana signora che da una vita tesse orgogliosamente al telaio antico le pizzare per la festa del Muzzùni (scoprirete cosa sia nel documentario…); il fabbro artista che si ispira all’iconografia africana; i costumi della tradizionale festa dello ”Scacciùni”: l’antichissima celebrazione, in chiave carnevalesca, dei moti rivoluzionari che mille anni fa portarono alla cacciata dei saraceni e che nel contempo da vita a una parodia del potere, altrettanto antico, del piccolo signorotto locale. Finalmente, la suggestione della ”Katàbba”: la campana che in un’alba di 1000 anni fa suonò a distesa – nel nome di Sant’Agata – per radunare tutti gli oppressi di Monforte San Giorgio e trasmettere loro la forza necessaria per riuscire a liberarsi dalla dominazione araba. Quegli stessi oppressori che, in cambio di un giogo esercitato per secoli, lasciarono in eredità all’Italia e a tutto il Mediterraneo centro-occidentale, una meravigliosa scala musicale e un arricchimento artistico figurativo di grande rispetto. Dai fregi moreschi, arrivati fino alla Serenissima, alle contaminazioni di interesse gastronomico. Come si dice: non tutti i mali vengono per nuocere. La Katabba è diventata poi, ormai da oltre mille anni, la celebrazione mai interrotta di questa rivolta: tra gennaio e febbraio, ad ogni alba e a ogni tramonto, nell’antichissima torre a pianta quadrata di Monforte San Giorgio, un tamburo duetta suggestivamente con la campana – la Katabba appunto – diffondendo nel buio e nel freddo oltre dieci diversi ritmi originali: mai mutati, mai scritti, mai andati perduti. Anche qui, la musica dei Malanova – ispirata allo strano duetto – sembra caricare noi stessi di quell’esaltazione che 1000 anni fa generò il coraggio necessario alla gente per affrontare un nemico secolare e scacciarlo. La Sicilia è una ricchezza inestimabile per il nostro Paese. Cerchiamo di scoprirla non solo nei suoi stupendi paesaggi di mare, nelle sue spiagge, nei meravigliosi cannoli alla ricotta (buonissimi quelli che si fanno nella pasticceria a conduzione familiare che abbiamo visitato a Gioiosa Marea) o nel tonno sott’olio ”più buono del mondo”: quello dei tonnaroti di San Giorgio… Nel nostro piccolo, con il contributo di mia moglie Annalisa Losacco alla macchina da presa e alla regia, di Salvatore Siragusa (pure operatore di ripresa) e di Roberta Fonti (giornalista impegnata nella salvaguardia della cultura locale), entrambi originari dei luoghi toccati dal documentario ed estemporanei ”cercatori di storie”, nel nostro piccolo – dicevo – per la seconda volta ci siamo provati a descrivere quello che solo l’esperienza personale può restituire. Per questo, con tutta la modestia del caso, il nostro lavoro vuole essere un invito a fermarsi, a parlare con la gente, a scavare nella loro anima e nel loro cuore. E a trovarci tutto quello che c’è: bellezza, simpatia, umanità!”

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