Strage Fidene, procura chiede condanna all’ergastolo per Campiti
(Adnkronos) – La procura di Roma ha chiesto la condanna all’ergastolo con isolamento diurno per due anni e mezzo per Claudio Campiti, l’uomo che l’11 dicembre del 2022 ha aperto il fuoco durante una riunione del consorzio Valleverde in un gazebo di via Monte Gilberto, a Fidene, uccidendo quattro donne: Nicoletta Golisano, Elisabetta Silenzi, Sabina Sperandio e Fabiana De Angelis. A Campiti, dopo l’inchiesta del pm Giovanni Musarò con i carabinieri del Nucleo investigativo, vengono contestate le accuse di omicidio aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi, di tentato omicidio di altre cinque persone sedute al tavolo del consiglio di amministrazione del consorzio e di lesioni personali derivate dal trauma psicologico subito dai sopravvissuti. Imputati nel processo anche il presidente della Sezione Tiro a Segno nazionale di Roma e un dipendente addetto al locale dell’armeria del poligono di tiro di Tor di Quinto, dove Campiti prese l’arma utilizzata poi per compiere la strage, accusati, invece, di omissioni sul controllo e la vigilanza sulle armi. Per loro la richiesta di condanna è rispettivamente di 4 anni e un mese e di due anni. “Se questo processo avesse riguardato solo Claudio Campiti sarebbe bastata una sola udienza – ha detto il pm Alessandro Lia aprendo la requisitoria con il collega Giovanni Musarò davanti alla Prima Corte di Assise alla vigilia del secondo anniversario della strage – con il video registrato nel gazebo, i verbali dei testimoni e quello dell’imputato che ha ammesso le sue responsabilità. Ci sono però altri due imputati e se siamo qui, e abbiamo sentito decine di testimoni, è perché c’è l’esigenza di capire perché tutto ciò sia stato possibile, per dare una risposta a chi chiede giustizia. Campiti entra in quel gazebo per uccidere, nell’arco di cinque secondi uccide quattro persone. Entra e – ha ricordato il sostituto procuratore Lia – senza esitazione esplode il primo colpo, si rende conto di un problema di caricamento e riesce subito a 'scarrellare' e a ricaricare il colpo in canna, tornando così a sparare e a uccidere. È lì che, quello che noi definiamo un eroe civile, Silvio Paganini coglie l’attimo in cui Campiti si gira e si butta su di lui. Campiti si era abbigliato da combattente, aveva ancora oltre 170 proiettili e avrebbe potuto fare una strage ancora maggiore”. Prendendo la parola il pm Musarò ha ripercorso “le falle” sulla sicurezza del Poligono emerse dalle indagini e dalle testimonianze portate in aula. “Quanto successo non era imprevedibile, eventi analoghi erano già accaduti senza che fossero prese precauzioni”, ha detto il pm che nella requisitoria ha ricordato sul punto la testimonianza dell’allora dirigente della divisione di polizia amministrativa, poi a capo del personale, che in aula aveva detto che non furono portate alla sua attenzione le segnalazioni inviate via pec dal commissariato di Ponte Milvio in relazione alle falle nel poligono. “E’ stata una disattenzione, una svista dell’operatore. Le note sul poligono non sono mai state portate alla mia attenzione”, aveva detto la donna in aula. “La dirigente ha parlato con un linguaggio asettico e burocratico ma se quelle pec fossero state ‘trattate’ sicuramente sarebbe stata avviata la procedura per la modifica del regolamento – ha detto il pm – Non bisogna avere paura di dire la verità, quello che è accaduto è anche responsabilità di soggetti appartenenti alle istituzioni”. “Nel più grande tiro a segno nazionale, con oltre 8mila soci, vigeva una specie di far west, con totale assenza di cautele. Come è possibile che Campiti sia uscito dal poligono con la pistola e sia andato via indisturbato, senza passare mai per la linea di tiro? Innanzitutto per lo stato dei luoghi: l’armeria dista 247 metri dalla linea di tiro e si deve necessariamente passare dal parcheggio, nel percorso si costeggia il bar e i bagni, una zona di fatto pubblica, il bar era sostanzialmente aperto a tutti e non c’era alcun tipo di controllo al parcheggio. Campiti non ha approfittato di un momento di distrazione di qualcuno ma di un regolamento interno al poligono che veniva applicato in quel modo da 30 anni – ha evidenziato il pm – Anche dopo l’omicidio di Marta Russo, nel 1997, venne il dubbio che forse la pistola fosse stata prelevata dal Tiro a segno nazionale e furono compiute verifiche poiché l’arma era una calibro 22, molto utilizzata in ambito sportivo”. —cronacawebinfo@adnkronos.com (Web Info)